Gennaio 2007, Milano
Intervista a Nadine Gordimer


Lei ricorda che quando era giovane il primo contatto con il mondo chiuso dei neri nel Sudafrica razzista, con il ghetto, fu la rappresentazione di una commedia, “L’importanza di chiamarsi Ernesto”, di Oscar Wilde. Lei ricorda che i neri risero molto. Che cosa imparò da questa esperienza?

Non è stato affatto il mio primo contatto con gli africani, sono nata lì, sono cresciuta tra loro, ma loro erano sempre in una posizione inferiore, erano servi, mendicavano per le strade, le scuole naturalmente erano segregate, i cinema erano solo per i bianchi e anche le lezioni di danza erano soltanto per noi. Quando ero adolescente tra i 17 e i 18 anni ero un'attrice a livello amatoriale e recitavo ne"L'importanza di chiamarsi Ernesto" di Oscar Wilde, una commedia molto sofisticata ed era strano recitarla in un quartiere segregato dei neri. Lei lo ha chiamato ghetto ed effettivamente lo era, ma noi lo chiamavamo “location per i neri”. Qui naturalmente potevamo incontrare i neri in un contesto per così dire borghese, in una sala che somigliava ad un teatro e né io, né gli altri attori avevamo mai recitato di fronte ad un pubblico di neri. Questa fu un'esperienza completamente nuova, cercammo di trasformare il contatto quotidiano con i neri considerati come inferiori in un contatto tra pari. Noi recitavamo per loro e loro ci accettavano, e naturalmente hanno riso al momento sbagliato.

Durante il suo discorso di accettazione del Premio Nobel a Stoccolma, lei ha detto “niente di quello che io dico o scrivo è così vero come la mia narrativa”. Che cosa significa esattamente?

Sono una scrittrice di narrativa, ma sono anche un essere umano responsabile, una cittadina del mio paese e del mondo. Ho dovuto anche parlare della vita e della politica come scrittrice e come essere umano e cittadina, ma ho sempre tenuto queste due cose separate. La scrittura è gran parte della mia vita, ho iniziato quando ero una ragazzina di 19 anni, scrivere mi viene naturale. Se per diventare un cantante d'opera forse c'è bisogno di corde vocali speciali, anche per scrivere, noi scrittori, forse abbiamo qualcosa qui (indica la testa), ma quando ho iniziato a farmi un nome come scrittrice ho capito che dovevo iniziare a parlare in modo responsabile come cittadina e così ho scritto articoli e ho pronunciato discorsi in alcune occasioni.



Quando fai una cosa del genere lo fai a titolo personale, quindi anche inconsciamente hai qualche remora, tieni qualcosa per te, non vuoi rivelare troppo di te stesso, non vuoi essere frainteso. Diventi un po’ come un politico.

Nei miei racconti e nei miei romanzi sono completamente libera di creare i miei personaggi ispirandomi alle persone che conosco e che mi stanno intorno e alla vita che conduco senza tener nulla per me. Posso proiettare sui miei personaggi quello che vedo, la realtà estremamente complessa degli esseri umani in situazioni di conflitti politici, personali, sessuali, sentimentali, o altro.

Lei dice: “Vedevo quell’altro mondo che era il mondo” e nella prima fase della sua vita si sentiva come il Jacques di Camus che non aveva una sua patria e doveva scoprirla perché si sentiva straniero,. Come è avvenuta la scoperta della sua patria?”

Io ho scoperto che il Sud Africa, in Africa, era la mia terra. Io sono nata lì e sono un'africana, una sudafricana mentre quello che leggevo sui libri e quello che mi era stato insegnato riguardava l'Europa. Era esattamente il contrario, ho scoperto che in realtà io non appartenevo al mondo di cui leggevo nei libri, che si trovava dall'altra parte del mondo, nell'emisfero settentrionale, ma appartenevo all'Africa ed in particolare al Sud Africa.

Ha avuto difficoltà a riconoscere il suo essere bianca in un mondo dove i bianchi erano minoranza e in cui lei sposava la causa dei neri?

Non ho avuto nessuna difficoltà. Sono cresciuta in questa situazione così complessa e sapevo abbastanza bene chi ero. Una volta diventata adulta sono riuscita a comprendere la responsabilità di appartenere per nascita, che mi piacesse o no, alla minoranza bianca, il dieci per cento della popolazione. Emotivamente ed intellettualmente ho deciso che non mi sarei limitata ad appartenere a quella piccola minoranza, ma che appartenevo a tutta la gente, ma questo devi dimostrarlo una volta che sei adulto, partecipando alle forze di liberazione, e io l'ho fatto.

Il tema dell'appartenenza, delle radici, è ben presente nel libro L'aggancio, dove la storia di Abdu e Julie è la storia di due persone che cercano un loro mondo. Come nell'epoca delle grandi migrazioni si scopre un proprio mondo diverso da quello delle proprie radici?



Come sappiamo, oggi le persone si spostano da paese a paese fuggendo dai conflitti nei loro paesi di origine e dalle difficoltà economiche. Anche in Italia ci sono molte situazioni tragiche come questa, di persone che salgono su una piccola imbarcazione e cercano di raggiungere le coste dell'Italia, ma spesso annegano durante il percorso. Queste ondate migratorie si sono susseguite spesso nel corso del tempo ed è questo il tema del mio libro. Sembra che in ogni generazione ci sia un enorme gruppo di persone erranti che cercano un posto dove potersi creare una vita, dove poter mettere radici.



Pochi scrittori come lei si dimostrano interessati a incontrare dal vivo e con corrispondenze altri scrittori. Da cosa nasce questo interesse?

Sono un po’ imbarazzata perché non sono d'accordo con lei. Non sono d'accordo con lei, perché io in nessun modo cerco di incontrare altri scrittori, in realtà io credo, e lo dico spesso a coloro che vogliono incontrarmi che più che lo scrittore bisogna leggere i libri dello scrittore perché il meglio è tutto lì. A volte, quando si incontra l'autore, si scopre che la personalità è molto deludente, a me è successo; ma io sono stata fortunata. Lei ha parlato del Giappone, una volta ho incontrato per caso Kenzaburo Oe e già sentivo una forte ammirazione per i suoi libri. Si potrebbe dire lo stesso di Gunther Grass e qualche anno fa ho avuto il piacere di incontrare Natalia Ginzburg e Italo Calvino, ma queste sono state solo coincidenze, il meglio dell'autore è nel libro.

Nel suo libro “Sveglia” lei nota come le agenzie internazionali si siano accorte dell'esistenza della Terra nel momento in cui la Terra entra in grave crisi. E dal punto di vista individuale, dice del protagonista: la presenza della morte dà un qualcosa di sacro alle relazioni superficiali. C'è un rapporto tra questi due elementi?

Il tema di questo libro è il pericolo di inquinare la terra al punto da portare al rischio della nostra estinzione e la situazione è resa peggiore dall'esistenza del pericolo nucleare. Noi siamo la prima generazione sulla terra dal momento in cui l'essere umano si è evoluto ad avere la capacità e le strutture di spazzarci via dalla faccia della terra con una bomba o con delle radiazioni. Questo è il tema del mio libro. La storia invece è quella di un uomo, un ecologista, che lavora per salvare la terra e per



una strana coincidenza si ammala di cancro alla tiroide che viene curato con elle radiazioni, quindi lui diventa un soggetto radioattivo come essere umano e così diventa un pericolo per le altre persone. La sua esperienza personale è legata allo scopo della sua vita. È ironico, è una circostanza terribile perché lui stesso diventa causa di ciò che stava combattendo.

Nei giorni scorsi a Torino, durante il convegno sulla scrittura africana è stata molto critica sul ruolo della tv nella nostra società. Qui in questa intervista televisiva può esprimersi su questa prevalenza della vista e sul ruolo della televisione oggi.

C'è una grande distinzione tra i programmi di informazione, l’informazione seria, meravigliosi programmi di ricerca nel campo della scienza e della natura di cui tutti dobbiamo essere grati. Ciò di cui stavo parlando in realtà sono le sit-com e tutti quei programmi popolari di basso livello intellettuale che sono diventati programmi di intrattenimento soprattutto per i bambini.



Le faccio un esempio. In passato i bambini ascoltavano le storie che venivano lette, oggi invece, vengono messi davanti al televisore e così guardano i cartoni animati o altri programmi. La cosa allarmante è che oggi per vedere quali programmi offre la televisione non si deve più girare da un canale all'altro, ma basta consultare il cellulare. E ora si è arrivati perfino ad avere un romanzo che scorre riga dopo riga sul display del cellulare piuttosto che sulle pagine di un libro. Secondo me questa è una grave minaccia per il libro, per la parola scritta e anche dal punto di vista della fruibilità del testo, se il libro è contenuto nel telefonino devi sempre avere la batteria carica, se la batteria è scarica hai perso il libro oppure devi avere una presa della corrente per poterlo caricare. Se manca l'elettricità, come accade nel mondo, sei perso. Il libro è qui nelle tue mani, lo puoi prendere in biblioteca se non vuoi comprarlo e lo puoi portare con te. Puoi leggere una frase e poi tornarci su in seguito per vedere se il significato era davvero quello. Non dipendi da nulla se non dalle parole scritte su quelle pagine e puoi averlo con te finché le pagine del libro restano intatte, anche per tutta la vita. Credo che vedere la parola scritta così minacciata e messa da parte da queste immagini negative, sia una grande minaccia per l'intelletto umano.

In questi giorni è in corso il Mondial social forum a Nairobi. Lei pensa che queste iniziative possano avere un 'influenza positiva sul futuro?

Credo che questi incontri internazionali siano molto importanti. Non tocca soltanto ai singoli governi dialogare tra loro, ma in questo caso anche le persone provenienti dai vari paesi hanno l'occasione di incontrarsi, scambiarsi delle idee e scoprire ciò che hanno in comune e ciò che hanno di diverso. Dal punto di vista africano abbiamo sempre guardato il nostro continente da nord a sud e da sud a nord nel senso che i paesi del nord guardavano verso di noi e viceversa. Ora soprattutto nel mio paese si ha una percezione diversa e stiamo iniziando a considerare i rapporti con i paesi dell'America Latina. Non soltanto in termini economici ma anche in termini culturali e abbiamo molto in comune con paesi come il Brasile che hanno molti schiavi africani e la cui popolazione è formata da molti africani, quindi abbiamo questo tipo di legami che ora stiamo seguendo in questo incontro internazionale.


Abbiamo letto di recente sulla Repubblica delle critiche molto aspre dello scrittore André Brink sulla situazione attuale in Sudafrica. Lei invece è più ottimista.

Io sono un'ottimista realista. Quando combattevamo la battaglia contro l'apartheid non avevamo il tempo di pensare ai problemi che ci sarebbero stati dopo, ma i problemi ci sono stati perché improvvisamente ci siamo trovati tutti insieme, bianchi e neri, con una nuova meravigliosa costituzione, assoluta libertà di parola, culto e movimento per tutti.

Tutto questo non esisteva dal 1652 quando Cape Town era un luogo di rifornimento per gli olandesi che ancora non erano un vero e proprio insediamento. P er centinaia di anni siamo rimasti separati, abbiamo vissuto delle situazioni di razzismo con la popolazione locale, con gli indigeni che sono stati completamente dominati dal colonialismo. Da quando c'è stata la prima elezioni in cui hanno potuto votare sia i neri che i bianchi nel 1994, è passato troppo poco tempo affinché le persone potessero creare una democrazia perfetta o delle opportunità complete per realizzarsi a pieno nella loro vita. Tutti voi europei avete avuto a disposizione centinaia di anni e ancora non siete riusciti ad ottenere la democrazia perfetta, continuano ad esserci delle disuguaglianze, dei divari. Quindi dateci una possibilità, dateci qualche anno di tempo prima di dire che è andato tutto storto. Ancora non abbiamo avuto l'occasione di far funzionare le cose, il tasso di disoccupazione è molto alto e abbiamo bisogno di politiche forti, di solidi programmi di formazione per la nostra gioventù. Abbiamo bisogno di un sistema di istruzione, sono state aperte molte nuove scuole, ma nelle aree rurali non ci sono ancora delle strutture paragonabili a quelle che ci sono in città. Bisogna riconoscere tutto questo e continuare a dire cosa bisogna fare. Penso che sia necessario fare delle critiche oneste e positive al governo soprattutto ad alcuni dipartimenti. La sanità è stata molto lenta nell'occuparsi del problema dell'AIDS e abbiamo bisogno anche di grandi sforzi e molti soldi per l'istruzione. Ma voglio ripetere che è stato fatto molto, alcune cose sono andate male, ma dobbiamo affrontarlo, non possiamo sederci con la testa fra le mani dicendo che è andato tutto

perso.