mons. Domenico Corelli Da
sei anni - il 10 febbraio - in Italia si celebra il Giorno del Ricordo.
Con questa solennit� civile si vuole "conservare e rinnovare la memoria
della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe,
dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel
secondo dopoguerra e della complessa vicenda del confine orientale"
(legge 30 marzo 2004 n. 92).
Da noi abbiamo tre comunit� di profughi
istriano-dalmati: alle Villotte di San Quirino, al Dandolo di Maniago e
a Bibione. Le loro vicende sono emerse attraverso alcune pubblicazioni:
le Villotte hanno curato da poco il libro "Opzione: Italiani!" (con
relativa mostra), mentre alla comunit� di Bibione sono stati dedicati
un progetto didattico e una mostra fotografica, curati dall’Istituto
Tecnico Statale "M. Belli" di Portogruaro e dal gruppo "Il Tim�nt".
Nella
diocesi di Concordia trovarono accoglienza nei tristi anni dell’esodo
un buon numero di sacerdoti di origine istriana e dalmata e anche dei
seminaristi: sensibile e paterno fu con loro il vescovo mons. Vittorio
D’Alessi, che tante vite aveva salvato nel periodo della Resistenza.
Di
queste vocazioni resta solo monsignor Cornelio Stefani, costruttore e
presidente di Casa Betania a Pordenone, luogo che possiamo considerare
come un naturale punto di riferimento religioso per i molti arrivati
profughi qui dall’Istria e dalla Dalmazia. Per tale motivo, sar� fatta
memoria proprio nella cappella della casa, dei morti infoibati (tra
questi � stato di recente beatificato a Trieste don Francesco
Bonifacio) e di quanti non ci sono pi� e hanno vissuto e testimoniato
fra noi il dramma dell’esodo. La messa, in programma sabato 20 febbraio
alle ore 18, coincide con la visita pastorale del vescovo e vedr� la
presenza dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia,
Comitato di Pordenone. Ricordo particolare si far� dell’anima di mons.
Domenico Corelli, ispiratore di Casa Betania e in specie della cappella
annessa: su di lui la casa ha preparato in questi giorni un "numero
speciale" del bollettino Sacerdozio Regale che egli fond� e diresse per
oltre un cinquantennio.
* * *
Mons. Corelli � ultimo dei preti
esuli nostri entrato nella Casa del Padre (13 dicembre 2009 a 97 anni).
Si badi per�: pi� che "esule", fu un "espulso" dalla sua terra. Vediamo
il perch�.
Nato a Bellei, nell’isola di Cherso (Quarnaro), nel
1912, ordinato sacerdote nel 1937, gi� direttore spirituale del
Seminario di Lussingrande dal 1945 al 1948, don Corelli sub� nove mesi
di carcere duro nelle prigioni titine, dal giugno al dicembre 1948. Un
suo scritto recente racconta quell’esperienza difficile e inumana.
Alla
fine della guerra, l’arcivescovo di Zara, mons. Pietro Doimo Munzani
(1890-1951), aveva raccolto nella pi� sicura isola di Lussino i
quaranta alunni del Seminario minore; e qui lo stesso vescovo si recava
spesso per svolgere la sua attivit� pastorale, essendo Zara luogo
conteso e pericoloso. Nomin� direttore spirituale don Corelli, allora
parroco di San Martino di Cherso. Questi inizi� a spostarsi, dal luned�
mattina al pomeriggio del gioved�, dalla sua parrocchia al seminario,
percorrendo otto chilometri a piedi, viaggiando quindi in corriera e
poi un ultimo tratto a piedi. Questo andirivieni mise il sospetto alla
polizia di Tito e, nel tardo pomeriggio del 10 aprile 1948, al termine
della funzione eucaristica del mercoled� santo, il sacerdote venne
prelevato da quattro uomini all’esterno della chiesa di San Pietro dei
Nembi, alla presenza dei fedeli che si misero a gridare, ma
inutilmente. Portato con un motoscafo a Lussinpiccolo, nella sede della
polizia, gi� a mezzanotte don Domenico sub� un interrogatorio sul
perch� dei suoi spostamenti e per sapere da chi riceveva ordini: "Verso
l’una venni condotto nel sotterraneo della loro sede e chiuso in una
cella buia, senza finestre, con una branda nuda, senza alcuna coperta,
per riposare la notte: non avevo nemmeno uno straccio, non c’era alcun
mobile. Cos� and� avanti, sempre in stato d’isolamento, per circa
quaranta giorni, senza mai svestirmi n� potermi lavare di mattina".
Nel
secondo giorno di prigionia fu sottoposto al primo interrogatorio,
sulla base di false testimonianze raccolte. Venne accusato di attivit�
d’opposizione alle leggi dello Stato mediante la predicazione e
frequenti riunioni serali, durante le quali risultava che avesse
discusso sul come ci si doveva opporre al comunismo; gli veniva
contestata un’inventata appartenenza al fascismo, una presunta attivit�
di cambiavalute, e altro. Gli interrogatori proseguirono, di giorno e
di notte, per circa cinquanta giorni: le accuse tendevano inoltre a
coinvolgere l’arcivescovo, come si era fatto in precedenza con un altro
sacerdote, "che si mantenne irreprensibile". Finito ogni
interrogatorio, a don Corelli venivano presentati verbali di
"confessione" inventati, con la lusinga: "Noi siamo comprensivi, se
sottoscrivi che hai fatto tutto questo perch� te lo aveva ordinato
l’arcivescovo Munzani, sarai libero". Don Domenico rimase invece fermo
e deciso, nonostante "schiaffi, tirate di orecchi e calci", perfino
quando arrivarono le minacce di arrestare il padre e la madre, e anche
quando gli mostrarono dei verbali con accuse estorte a suoi
parrocchiani.
A met� giugno, il sacerdote fu trasferito al carcere
comune di Lussinpiccolo, in una cella di quattro metri per quattro, che
ospitava da un minimo di quattro fino a undici prigionieri, alcuni
anche italiani, ladri, rissosi, disobbedienti o ubriaconi. Alla
mezzanotte dell’ultimo dell’anno 1948 fu convocato in ufficio dove gli
fu dato l’ordine di immediata espulsione dalla Jugoslavia, con alcune
indicazioni di comportamento: "Avrei dovuto dire alla gente che ero
stato imprigionato per colpa mia, perch� avevo svolto attivit� contro
lo Stato secondo l’accusa dei miei due parrocchiani. Uscii a quell’ora
dal carcere con il solo mantello e un fagotto. Camminavo a stento....
Il giorno dopo, 1� gennaio 1949, presi il treno da Fiume per Trieste…
Dopo un giorno partii per Roma per incontrare l’arcivescovo Munzani".
Mons.
Corelli ha scritto di essere stato tolto dalla cella d’isolamento dopo
che le autorit� jugoslave non erano pi� interessate a montare un
processo politico-scandalistico ai danni dell’arcivescovo, partito nel
frattempo per Roma. Mons. Munzani, accolto in Vaticano come canonico di
San Pietro, ottenne a don Corelli un’udienza con Papa Pio XII e gli
propose poi varie soluzioni per il futuro: alla fine prevalse quella
del ritorno in terra veneta. Telefon� al vescovo mons. D’Alessi che
accolse don Corelli fra il nostro clero e lo assegn�, dal 1� marzo
1949, come cappellano, a San Vito al Tagliamento.
Il vescovo
monsignor De Zanche, successore di mons. D’Alessi, l’anno successivo
destiner� don Domenico Corelli a direttore spirituale del Seminario
maggiore diocesano e lo far� poi direttore dell’"Apostolato della
Preghiera": l’attivit� sua nel campo della spiritualit� ebbe modo di
esplicarsi in tutta la diocesi per sessant’anni, sino alla fine.
La
vicenda di "padre" Corelli - cos� fu da tutti chiamato qui - � un
episodio nella grande tragedia del popolo istriano e dalmata. Ci
auguriamo che emergano altre storie di altri preti di frontiera, di
altre persone che rammentino un periodo tragico che, con la "Giornata
del Ricordo", non si vuole dimenticare e anzi tramandare alle nuove
generazioni.
Gianni Strasiotto
Padre Corelli davanti al fabbricato dove fu incarcerato per nove mesinel 1948 e poi espulso.