Don Francesco Bonifacio Diversi
furono i sacerdoti uccisi in Istria per mano dei partigiani comunisti,
che ostacolavano l’esercizio del loro ministero (il regime era fondato
sull’ateismo). Molte poi le vittime tra la popolazione, per vendetta o
pulizia etnica. La ricostruzione di questi eccidi � stata piuttosto
tardiva e i dati raccolti sono parziali: mai si avr� un quadro completo
della tragedia. Per le vittime � stato coniato il termine "infoibato",
vale a dire spinto nella foiba. Migliaia di italiani, ma anche slavi,
finirono in fondo a queste voragini naturali (in Istria se ne contano
circa 1700), la cui profondit� pu� raggiungere i duecento metri.
Pochi
i processi popolari, con accuse di solito inventate, mai supportate da
prove: ne sub� uno pure don Rodolfo Toncetti, poi parroco da noi a
Toppo di Travesio, scampato all’arresto e al conseguente infoibamento.
A
tale fine erano infatti destinate le persone che dissentivano e
tentavano di opporsi al sistema voluto dal maresciallo Tito. Dopo aver
subito torture e sevizie, venivano condotte, tra insulti e scherni,
sull’orlo delle foibe, legate ai piedi e ai polsi con filo di ferro.
Qualche aguzzino sparava quindi al primo del gruppo che, cadendo nella
foiba, trascinava gli sventurati compagni.
A "Casa Betania" di
Pordenone, nella celebrazione per il "Giorno del Ricordo 2010", sar�
fatta particolare memoria di don Francesco Bonifacio, proclamato beato
nella cattedrale di San Giusto in Trieste il 4 ottobre 2008. Egli sub�
il martirio "per amore di Cristo e del suo vangelo" a soli 34 anni. Il
volto del nuovo beato � stato ritratto vicino al buco di una foiba, con
la bicicletta in una mano e la palma del martire nell’altra: il quadro
a olio, assai suggestivo, � opera della pittrice Ivana Panizzo, per
commissione di monsignor Cornelio Stefani, e viene esposto alla messa
di sabato 20 febbraio, ricorrendo anche l’Anno sacerdotale.
* * *
Don
Bonifacio, nato a Pirano d’Istria nel 1912 da una famiglia di modeste
condizioni, a dodici anni entr� in seminario e venne ordinato sacerdote
nel 1936 nella cattedrale di Trieste.
Dall’aprile 1937 fu cappellano
a Cittanova e qui ebbe modo di farsi apprezzare per l’intensa attivit�
pastorale a favore dei pi� bisognosi e nell’organizzare la Giovent� di
Azione Cattolica.
Nel 1939 il vescovo di Trieste e Capodistria
Antonio Santin gli affid� la cura delle 1300 anime della curazia di
Villa Gardossi, vicino Buie d’Istria, fatta di borgate e casolari da
raggiungere a piedi o in bicicletta, dove confortare ammalati, anziani,
sofferenti, poveri, riuscendo a offrire spesso anche qualche piccolo
aiuto materiale.
Inizi� la guerra con le sue privazioni e i suoi
lutti da consolare, ma fu dopo il tragico armistizio dell’8 settembre
1943 che le difficolt� divennero insormontabili: alla sanguinosa
insurrezione popolare fece seguito l’arrivo delle forze armate
tedesche, aiutate da elementi collaborazionisti. Il territorio boscoso
della parrocchia, con le tante case sparse, si prestava a rifugio
ideale per i partigiani di Tito: fu un vero calvario per la popolazione
civile, con notevoli disagi e numerose vittime.
Don Francesco cerc�
di interporsi tra le parti in lotta, di prodigarsi per soccorrere
tutti, non importa se italiani o slavi: tent� mediazioni, imped�
esecuzioni, difese dalla distruzione e dal saccheggio le case, apr� la
canonica o trov� un sicuro rifugio ai fuggiaschi e agli sbandati, diede
sepoltura alle vittime dell’odio, a volte lasciate in abbandono.
Dopo
la guerra l’Istria fu occupata dagli jugoslavi; furono messe a tacere
tutte le persone scomode o, in ogni caso, lontane dall’ideologia
marxista-leninista: inizi� l’epoca delle vendette, si accentuarono gli
odi etnico-nazionali che portarono all’esilio forzato di tanti italiani.
Don
Bonifacio era benvoluto dalla sua gente, che temeva per lui, lo
avvisava dei pericoli e lo consigliava ad andarsene. Ma lui era
convinto della sua missione, della forza delle idee di pace, e si
mantenne sereno nel suo agire con qualsiasi persona, pacato nel far
valere le ragioni della Chiesa. Assicur� i fedeli che mai li avrebbe
abbandonati, che - all’evenienza - era disposto pure a morire in mezzo
a loro. Si parlava infatti - sottovoce e da tempo - di sparizioni nelle
foibe, per mano dei partigiani jugoslavi, di persone del ceto dirigente
italiano, di qualunque colore politico, partigiani compresi. Don
Bonifacio sapeva che all’eliminazione erano destinati tutti coloro che
avessero potuto ostacolare il progetto di unione dell’Istria alla
Jugoslavia. In questa pericolosa situazione, egli fu uno dei pochi
preti italiani che restarono in Istria, con il proprio popolo. Neppure
gravi atti vandalici lo fecero desistere, quali il taglio delle corde
delle campane e l’imbrattamento dei muri della chiesa con scritte
oltraggiose.
Il fratello Giovanni cos� lo ricorda oggi: "Era un
sacerdote che viveva il Vangelo con la sua gente. Mai, mai era solo,
era sempre in movimento: tra i malati, a insegnare catechismo, sempre
in giro per i villaggi". Altri ricordano l’esemplarit� della sua guida
spirituale, ferma e serena, dei giovani.
L’11 settembre 1946,
mentre rincasava dalla confessione a Grisignana, due guardie popolari
lo fermarono nei pressi di quel cimitero e lo colpirono a calci e
pugni. Venne quindi portato via nel bosco. Qui al prete, che continuava
a pregare e a dire parole di perdono, fu scagliata una pietra al volto,
secondo la testimonianza di un agricoltore del luogo, e finito.
Il
fratello inizier� le ricerche, continuer� per un anno a ispezionare la
zona insieme alla mamma, ma senza risultato. L’anno dopo la famiglia si
trasferir� a Trieste. Cal� il silenzio sulla fine di don Francesco
Bonifacio, ben difeso dalle autorit�. Parlare di lui era pericoloso. E’
probabile sia stato gettato nella foiba di Martines a Grisignana,
profonda 180 metri.
La morte violenta in odium fidei di don
Francesco Bonifacio � stata accertata nel processo che ha portato alla
beatificazione di un prete "autentico martire ucciso, vittima di odio
efferato, per la fede".
Gianni Strasiotto